Commentario al nuovo Codice Deontologico delle Professioni Infermieristiche

La definizione di “commentario” è letteralmente quella di un “lungo ed erudito commento riguardante un’opera di particolare importanza”.

Un’interpretazione dell’opera per renderla accessibile. O anche una sua esegesi, un’analisi critica quindi, per comprenderne meglio il significato.

Se come è indicato nel Codice deontologico, questo non è una semplice raccolta di nozioni in cui identificarsi, ma la capacità di connettere in maniera critica e consapevole le informazioni e se come spiegato “conoscere” significa collegare, il Codice deontologico riconosce l’infermiere come professionista e come persona; riconosce il cittadino come curato e come persona; riconosce la società nella quale viviamo e quella in cui vorremo vivere; riconosce la normativa attuale e ne prefigura la sua evoluzione.

Il commentario al Codice deontologico spiega come e perché tutto questo accade, deve e può eticamente accadere. E così come il Codice è di tutti noi anche il commentario deve essere un patrimonio diffuso e accessibile, motivo per il quale la Federazione ha scelto di farne un documento gratuito e liberamente scaricabile da chiunque.

Jacques Lacan, psicoanalista e psichiatra della seconda metà del secolo scorso le cui idee hanno influenzato e sviluppato la psicanalisi clinica, ma anche la teoria critica, sosteneva che “il linguaggio, prima di significare qualcosa, significa per qualcuno”.

E il Codice deontologico deve “significare” per noi infermieri la parte etica della nostra identità professionale, quella che più ci lega al cittadino in un modo diverso da qualunque altra professione che più che altro cura – cosa che noi naturalmente anche facciamo – la parte scientifica e professionale.

Definendo il Codice deontologico, ho sottolineato nella prefazione che esso celebra tutte le nostre radici, ma le dissotterra rendendole attuali all’oggi; racconta che non esiste più un momento dell’assistenza, ma che essa è oltre ogni luogo e ogni spazio. Il Codice costruisce soprattutto la giusta distanza con l’altro, lo lascia vivere, decidere, negare, assistersi. Il Codice ha una funzione fondamentale: regola il comportamento professionale che ognuno di noi poi declina sulla particolarità del caso clinico o del contesto organizzativo per offrire la migliore risposta in termini di salute, risposta che non può trovarsi nel Codice, ma dentro l’agito consapevole e ragionato di tutti gli iscritti di cui il Codice è a supporto e non il contrario.

Per farlo è necessario comprendere le parole del Codice e il loro significato applicativo, comprendere entro quale ambito ogni principio sancito è applicabile alla professione e come questo va correttamente interpretato, comprendere come ogni articolo è legato all’altro e tutti sviluppano una visione etica, deontologica e valoriale dal punto di vista del comportamento professionale e della relazione con l’assistito.

Scriveva Hans Georg Gadamer, filosofo tedesco contemporaneo considerato uno dei maggiori esponenti dell’ermeneutica e, quindi, dell’interpretazione non soltanto dei testi, ma anche dell’intera esistenza umana che “ogni comprensione del singolo elemento è condizionata dalla comprensione del tutto. Ogni spiegazione del singolo elemento presuppone la comprensione del tutto”.

Il commentario fa questo: consente di legare la comprensione di ogni singolo articolo del Codice a quella degli altri che lo compongono e spiega ogni singolo elemento che lo caratterizza perché sia inquadrato nel complesso del testo, nello svolgersi coordinato dei principi etici e deontologici che devono caratterizzare la nostra professione.

Ma sempre Gadamer aggiungeva che “la comprensione non va intesa tanto come un’azione del soggetto, quanto come l’inserirsi nel vivo di un processo di trasmissione, nel quale passato e presente continuamente si sintetizzano”.

E questo nel nostro caso sta a significare che la comprensione del Codice, anche grazie all’aiuto che dà il commentario, è quel tassello indifferibile e irrinunciabile della professione che consente, come illustrato nella sua prefazione, di sentirci a nostro agio nella relazione con l’assistito, tenendo

saldo e senza fatica sulle spalle lo zaino della professione con tutto il nostro patrimonio: la nostra formazione di base, la formazione specialistica, la formazione complementare, la formazione permanente, l’esperienza professionale criticamente rivista e aggiornata, le nostre attitudini, le nostre aspirazioni, il nostro vissuto, il nostro essere persona ed essere infermiere.

Per questo il commentario non è di uno o pochi autori, ma è stato realizzato da una pluralità di autori esperti (28) per mantenere viva la ricchezza di visioni diverse che rappresentano le tante anime della professione, le diverse competenze, la capillarità degli infermieri in tutti i contesti.

L’importanza di inquadrare ogni singolo elemento del Codice nel complesso della nostra professione e di farlo con l’interpretazione che ne possono dare pensieri diversi pur con la stessa professionalità, diventa evidente prendendo l’esempio di quella che abbiamo definito come sua parola d’ordine: relazione.

Se perdiamo il privilegio che la nostra professione ha di relazionarsi con la persona assistita, con gli altri colleghi, con le altre professioni, con gli enti di governo, abbiamo finito di esistere. Il valore fondamentale della nostra professione è la relazione con l’altro.

La base è l’articolo 4 del Codice dove è detto chiaro che “Il tempo di relazione è tempo di cura”.

E nel commentario è spiegato tra l’altro a questo articolo, che non può esserci cura senza apprendimento e, nella reciprocità della relazione (proporzione): l’aiuto viene immediatamente ripagato con il rispetto, la gratitudine, la crescita professionale e personale. Solo così non verrà mai a crearsi un vuoto. L’infermiere si fa garante che la persona assistita non sia mai lasciata in abbandono e il tempo che verrà impiegato nella relazione di cura sarà la costante che guiderà il professionista infermiere.

Ma ecco che il concetto ricompare più avanti, al momento di inquadrare i rapporti con gli assistiti, con l’affermazione che il tempo di relazione è tempo di cura, sempre, in ogni momento della vita e che l’infermiere diventare esperto e capace nell’aiutare l’altro attraverso gesti concreti quotidiani di vicinanza che consentano di rielaborare la sofferenza attraverso la premura, l’ascolto, l’attenzione.

E ancora nella comunicazione, con l’affermazione, poi spiegata più profondamente, che la relazione professionista-cittadino, fondamentale per rispondere a bisogni di cura complessi in continua e rapida evoluzione, è uno degli elementi cardine del sistema salute. L’informazione e la comunicazione sono componenti essenziali di questa relazione, che però oggi non può più essere mediata unicamente dai canali di comunicazione più consolidati. In poche parole, si parla degli gli “strumenti” della relazione nello zaino dell’infermiere.

Così il commentario indica un percorso mai fine a sé stesso. Un percorso che accompagna la nostra professione nel rispetto di un Codice deontologico che ci siamo dati e che è riconosciuto come esempio tra i più avanzati di etica applicata alla professione. Un percorso che ciascuno di noi deve apprendere, metabolizzare, fare suo e sentire dentro di sé nell’essere e nell’agire quotidiano. Un percorso che guida, aiuta, indirizza e accompagna l’infermiere nel suo essere espressione della scienza e della professionalità vicine all’assistito, ai suoi bisogni, alle sue necessità anche sociali.

Il commentario non è quindi un esercizio letterario per spiegare, ma una strada tracciata per guidare, un vero e proprio “navigatore” che indica la rotta nell’etica e nella deontologia della nostra professione.

Tratto integralmente dalla prefazione del documento a cura della Presidente Dr.ssa Barbara Magiacavalli

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